Nel 1960 a Bisceglie un militare avvistò una gigantesca creatura alata. Il “mostro del Pantano” divenne un caso nazionale. Ecco quale specie animale potrebbe aver alimentato la leggenda

La leggenda del “Mostro del Pantano” di Bisceglie risale agli anni ‘60, quando si diffusero voci su una creatura misteriosa che abitava la zona della Cala del Pantano. Secondo i racconti, il mostro era un essere di grandi dimensioni, con un corpo simile a quello di un grosso uccello. Si diceva che emettesse versi spaventosi e che si aggirasse di notte sulla spiaggia, terrorizzando i passanti. L’origine della leggenda sembra essere dovuta all’avvistamento di un grande uccello da parte di un giovane che si trovava nella zona. Spaventato dall’animale, il giovane raccontò di aver visto un “mostro”, e la sua testimonianza diede vita alla leggenda. Nel corso degli anni, la storia del Mostro del Pantano è stata arricchita di dettagli e varianti, alimentando il mistero e la curiosità intorno alla figura di questa creatura immaginaria. Alcune persone credono ancora che il mostro esista, mentre altre lo considerano semplicemente una leggenda locale. Questa la ricostruzione storica diffusa sui social dalla Pagina Facebook della Regione Puglia:

Mostro del Pantano, la ricostruzione storica:

Nel mese di gennaio del 1960, un giovane, di professione militare, recatosi a Bisceglie perché in licenza, arrivato nella zona del Pantano per rintracciare un suo congiunto, si trovò davanti all’improvviso un enorme e gigantesco uccello appollaiato sulla spiaggia. Spaventatissimo, il ragazzo si precipitò in paese dove raccontò, tra turbamento e paura, dell’indesiderato ed eccezionale incontro con un mostro alato, una creatura dall’aspetto stranissimo, dal corpo singolare a metà tra donna e uccello con un’apertura alare di oltre 4 metri! La stravagante e misteriosa creatura venne avvistata anche da alcuni pescatori e contadini; fu così che la notizia della sconcertante visione si diffuse a macchia d’olio tra i piccoli quartieri di Bisceglie e tantissimi compaesani curiosi, accorsero alla Cala del Pantano per vedere il mostro, ma rincasarono delusi poiché di lui si era ormai persa ogni traccia. Vennero organizzati da Carabinieri e cacciatori delle battute per provare a scovare e abbattere quell’essere anormale ma ogni ricerca non ebbe successo. La vicenda ebbe addirittura una risonanza nazionale, con la pubblicazione, il 31 gennaio 1960, di un articolo sul settimanale del “Corriere della Sera” denominato la “Domenica del Corriere”:

Inoltre, un anno dopo dalla narrazione dell’avvistatore, venne realizzato da Eugenio Monopoli, docente e artista biscegliese, un fotomontaggio/disegno che ritraeva il mostro. Nel corso degli anni la leggenda si è caricata di ulteriori e verosimili significati, come quella del Mostro “protettore” delle Grotte di Ripalta – di interesse naturalistico – e della zona del Pantano che con la sua presenza difenderebbe l’area naturale della presenza umana. Vista la circostanza, gli autori di PugliaReporter.com hanno avanzato “umili ipotesi” di questo potenziale criptide:

“Mostro del Pantano” di Bisceglie, l’ipotesi di una specie conosciuta per “smascherare” un “altrimenti criptide”:

Senza scomodare pterosauri sopravvissuti all’estinzione, se vogliamo avvicinarci alla cosiddetta criptozoologia (ovvero la disciplina non riconosciuta dalla Scienza ufficiale che ambisce allo studio di ipotetiche specie animali sconosciute in base ai loro altrettanto presunti avvistamenti, quella del bigfoot e dello Yeti, per intenderci) occorre tener presente il contesto storico in cui avvenne il presunto avvistamento: siamo negli anni ’60, periodo in cui, molto probabilmente, l’informazione scientifica non era diffusa come può accadere oggi attraverso internet e la televisione. Gli esperti di specie d’uccelli erano perlopiù coloro che avevano la possibilità di studiare materie scientifiche in contesti universitari o le risorse economiche necessarie per l’acquisto di specifiche e spesso costose enciclopedie (nonché il tempo per la loro completa consultazione). Nelle ricostruzioni del giornale nazionale – approssimative – nonché in quella effettuata in seguito dall’artista locale, è possibile intanto fare una prima constatazione: tutte le descrizioni indicano un uccello dal colore scuro e dall’aspetto insolito, probabilmente dall’apertura alare notevole. Escludendo i gabbiani, dunque, cosa potrebbe aver osservato il militare che passeggiò nel Pantano-Ripalta negli anni ’60? Meno inquinata di oggi, la Puglia di quell’epoca potrebbe aver ospitato esemplari di avvoltoi europei, un tempo probabilmente più diffusi e oggi protagonisti di un ambizioso progetto di riproduzione. Ma lo ripetiamo, siamo negli anni 60 e anche un “semplice” avvistamento di un più tipico cormorano – molto presente in zona, cui caratteristiche sembrano all’incirca combaciare con la descrizione del “mostro” – potrebbe aver confuso facilmente un osservatore poco esperto. I cormorani sono uccelli molto diversi dalle altre specie tipiche dell’abitato pugliese:

 

Di colore scuro, dalle grosse zampe palmate, il becco lungo ma al contempo possente, dei veri e propri “mostri” se paragonati alle altre specie tipiche. Le zampe dei cormorani sono ravvicinate e arretrate, con cosce provviste di muscoli relativamente grandi e potenti rispetto alle dimensioni corporee. Un osso esclusivo alla base del cranio consente loro di lanciarsi contro un pesce e simultaneamente spalancare il becco. Per un’esigenza fisiologica tipica, questa specie tende ad appolaiarsi sugli scogli tenendo le ali aperte: il suo piumaggio è permeabile a causa dell’atrofia della ghiandola uropigea, che in altri uccelli secerne un olio protettivo impermeabilizzante. Per questo, una volta uscito dall’acqua, ha necessità di sostare con le ali ben spiegate per fare asciugare penne e piume. Una persona che non avrebbe mai visto prima un cormorano, trovandosi un bestione nero con le ali spalancate potrebbe facilmente intimidirsi e scambiare l’uccello per qualcosa di mostruoso, almeno ne “favolosi” anni ’60. In altre circostanze – come per un’iniziativa scolastica che aveva visto l’introduzione di cartellonistica distribuita nella zona, poi purtroppo danneggiata da un incendio – l’aspetto del “mostro del pantano” è stato modificato in quello di un mostro marino, avvicinandosi più alla leggenda del “serpente marino“, del “mostro di Loch Ness” che alla segnalazione originaria degli anni ’60 (che invece, per l’appunto, parlava di un uccello “mostruoso”). Una cosa è certa: storie come quella del “mostro del Pantano” di Bisceglie dovrebbero sempre aiutarci a comprendere quanto sia importante sia la ricerca scientifica (e quindi, anche la razionalità) che la tutela del patrimonio naturale delle nostre coste, in troppe circostanze minacciate costantemente dall’abbandono rifiuti, oltre che dalla pesca illegale e dalla cementificazione selvaggia. Oggi come ieri, quella della zona Pantano-Ripalta è un’area da tutelare dai cittadini e dagli amministratori: se così non fosse, l’unico vero “mostro” di queste aree costiere potrebbe ancora una volta rivelarsi l’uomo.

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