Sta facendo molto discutere la notizia riguardante l’aumento della popolazione di vermocane anche nelle acque pugliesi. Tale notizia mette inevitabilmente in allerta i pescatori, oltre che i bagnanti per via del suo morso. Trattandosi di un aninale autoctono, non è considerata una specie “aliena” ma l’aumento della popolazione (probabilmente dovuta ai cambiamenti climatici) potrebbe causare problemi alle attività umane. Ma è realmente pericoloso per la salute e per l’economia ittica? Cerchiamo di fare il punto della situazione:
Anzitutto, occorre tener presente che il vermocane (Hermodice carunculata Pallas, 1766), detto anche verme cane, verme di fuoco o verme di mare, è un verme marino errante appartenente alla classe dei Policheti, nativo della zona tropicale dell’Oceano Atlantico e del Mar Mediterraneo. Il vermcane è un anellide lento e non è considerato una minaccia per gli esseri umani a meno che non venga toccato da nuotatori imprudenti. Le setole, quando svasate, possono penetrare nella pelle umana, iniettando una potente neurotossina e producendo un’intensa irritazione e una dolorosa sensazione di bruciore attorno all’area di contatto. La puntura può provocare anche nausea e vertigini. Questa sensazione dura fino ad alcune ore, ma si può continuare ad avvertire un formicolio doloroso intorno all’area di contatto. In caso di contatto accidentale, sarà quindi necessario effettuare la rimozione delle spine e la disinfettazione della ferita. Ma cosa sappiamo della popolazione di vermocane nelle acque antistanti la costa pugliese? Sul sito dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – in un approfondimento pubblicato il 30 maggio del 2024 – leggiamo:
“Gli esemplari hanno una colorazione molto sgargiante e in media sono lunghi tra i 20 e 30 centimetri. Nonostante i colori possano attirare l’attenzione, non vanno toccati se avvistati perché il loro corpo è ricoperto di setole che contengono tossine urticanti che possono generare dolori, bruciori, edemi, pruriti e intorpidimento. Il vermocane si trova nel Mediterraneo da moltissimi anni, le prime tracce si hanno intorno al 1800 nel Golfo di Catania. Attualmente, probabilmente a causa del riscaldamento delle acque, la loro abbondanza è aumentata notevolmente tanto da diventare un problema soprattutto per il comparto pesca” – ricordano dall’istituto italiano che prosegue:
“La specie ha infatti assunto un comportamento invasivo, specialmente nelle acque del sud Italia (Sicilia, Calabria, Puglia e Campania) dove sempre più di frequente i pescatori trovano questi vermi marini incagliati nelle reti e negli strumenti da pesca. L’OGS, in particolare ricercatrici e ricercatori che lavorano nelle sedi siciliane di Panarea e Milazzo (ME), hanno iniziato a occuparsi di vermocane già nel 2022 proprio su spinta della comunità locale dei pescatori di Milazzo che si è rivolta all’ente. È stato così avviato il progetto Worms Out che coinvolge anche le Università di Modena e Reggio Emilia, di Catania e di Messina, l’ISPRA, l’Area Marina Protetta di Capo Milazzo e ScubaBiology e che punta a raccogliere dati ecologici e biologici sul vermocane e cercare le soluzioni migliori per gestire la presenza di questa specie e contenere la sua proliferazione. Il progetto si affida anche alla collaborazione della cittadinanza. Chiunque avvisti un vermocane può segnalare la sua presenza tramite AvvisAPP, la app ideata dall’OGS per il monitoraggio delle specie del Mediterraneo grazie alla Citizen Science, e compilando il questionario on-line sulla percezione del problema lungo le coste italiane” – concludono dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale. A tal proposito, riportiamo qui sotto i link ad alcuni video diffusi sul web:
Fonti:
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